
Carelli Pasquale, La terra delle piccole lune
Prodotto nr.: | AD576 |
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Quale forza o ventura ha spinto gli aedi a narrare, e spinge tuttora mostrando di non volersi arrendere a oscuri domani? Donde proviene ad essi quella ‘corpolentissima fantasia’ che li fa vichianamente ‘criatori’ capaci di "ritruovare favole sublimi"? Un tempo veniva facile far ricorso al sacro fuoco dell’ispirazione; oggi è forse consigliabile registrare il fenomeno rinunciando a confortanti quanto improbabili certezze: domani, chissà, la luce della scienza inonderà anche questo angolo misterioso.
Ora è più affascinante celebrare il mistero gaudioso di un percorso attraverso La terra delle piccole lune che Pasquale Carelli propone alla nostra geografia interiore: ci viene rivolto un discreto accattivante invito a esplorare un territorio ad un tempo vicino e remoto, a riconoscerlo nostro perché a noi appartenente e colmo di noi, "ad amare la valle e capirla" (p.41). Quello di Carelli è un invito a spostarci dalla comoda poltrona dell’invadente pigrizia meridiana per andare incontro a crudi mattini e a notti fatate e pungenti, scendere in abissi remoti e salire fino a stelle brillanti "in un cielo pulito" (p.24).
Va subito detto che questo lungo racconto, - fiaba realistica o, che è lo stesso, realismo fiabesco – sa fondere con estrema naturalezza i diversi motivi che sono legati al luogo natale, portando a sintesi originale e felice le componenti storiche, socio-antropologiche, geografiche, naturalistiche di cui l’affetto e la memoria si nutrono, mediante una scelta misurata e decisa, sostenuta da un tono che ha in una certa levità epico-lirica il suo contrassegno e la sua forza.
Questa prova si presenta, rispetto alla precedente opera narrativa (La Cuccìa, 1999), più unitaria e fusa, benché intrisa degli stessi umori, scatti e passioni; la riflessione raziocinante, il gusto del comico, certi "rimpianti e acredini" non risultano presenti o, comunque, in prima fila: tutto è affidato al racconto che si srotola rapido ed essenziale fino al suo scioglimento.
Un tema come quello del brigantaggio poteva indurre a esiti retorici: merito dell’Autore se esso rimane pretesto e base riuscendo, appunto per questo, e elevarsi a momento centrale della condizione umana, a essenziale passaggio nella faticosa lotta esistenziale dell’umanità, pur senza perdere i propri precisi connotati storici. Così pure il territorio e l’intero ambiente di vita: appena segnato da leggere modifiche toponomastiche, esso è insieme riconoscibile e simbolico, quel luogo ed ogni luogo dove si ama, si odia, si soffre, si muore.
Una natura vibrante, animata, parlante nei suoi cicli perenni, e su tutto la presenza mitica e misteriosa della luna elevata, insieme alle fate che popolano il mondo, a supremo simbolo di quanto presiede ai destini dell’universo. E, nel seno della natura, la vicenda umana in cui si apre uno spazio all’innocenza infantile: "gli occhi più giusti erano in fronte ai bambini" (p.63); in cui si diffonde una "musica nuova": "vedevo i pensieri come salire più in alto che mai e volerci restare" (p.42).
"Il racconto è uffizio della parola, la descrizione del disegno": la nota dello Zibaldone (164) leopardiano richiama imperiosamente le parole al centro di tutto quanto concerne il narrare. E la parola di Carelli è miracolosamente sobria, incisiva, musicale: spinta da quella fantasia accennata in apertura, può fare a meno di orpelli e di arzigogolate ricerche perché affinata da interiore necessità. Essa si colloca in una dimensione ritmica che richiama il glorioso esametro omerico, sicché la prosa di questo racconto andrebbe scandita da un coro di consapevole sensibilità sonora.
Su due altri aspetti la presentazione, che è breve per necessità di statuto e per elezione, vuol richiamare l’attenzione: il primo è lo sfondo vernacolare che fa emergere termini come ‘vitacchie’ e ‘Trappina’ dando robustezza e determinatezza alla frase; l’altro è il richiamo a non trascurare o banalizzare il principalissimo dovere umano della trasmissione: "le avevo insegnato a leggere, scrivere (…) ma anche ad amare la valle e capirla".
Questa energia trasmissiva fa parte – si ha ragione di credere – di quel nucleo insondabile che spinge gli aedi a cantare con la giusta intonazione, come in questo lavoro riesce a Carelli, avendo e comunicando fiducia che "nessuno può ammazzare la luna" (p.32).
Anche per questo La terra delle piccole lune offre al lettore la propria sapiente magìa e un soffio di speranza.
Giuseppe Vallone